Installazione di Ignazio Fresu
“Il ramo d’oro”. Un nome che subito evoca un sapere antico: una forma mistica, alchemica, appartenente a un’epoca dove mitologia e quotidianità sono legate come una promessa.
Ignazio Fresu, artista contemporaneo, ha scelto questo nome per la sua nuova installazione artistica dall’eco mitico e ordinario. L’opera intitolata “Il ramo d’oro” ha a che fare con una pianta: l’olivo o ulivo, che si è fatta carico, col passare dei secoli, di un enorme catino trasbordante di significati e simbologie che molte popolazioni gli hanno posato sui rami; ma questo albero originario dell'Asia Minore e della Siria, coltivato e mitizzato dalla civiltà Greca e poi Latina, non sembra risentire di questo carico pesante; anzi pare sempre pronto ad accoglierne di nuovi, a lasciarsi guardare e trasformare nelle maniere più disparate dall’uomo e dal tempo; probabilmente poiché una buona parte di tempo, già di suo, lo custodisce tra radici, tronco e rami, essendo tra gli alberi più longevi del nostro pianeta; perciò avrà visto intere civiltà rendergli grazia, adorarlo e utilizzarlo.
Ignazio ha trovato un suo modo per osservare, amare e tentare di capire questa pianta fulcro della sua installazione artistica: l’ha fatto usando dei materiali che non sono solo materia inerte ma, nella reiterazione dell’utilizzo, sono diventati stile e poetica dell’artista. Resine, ferro, rame, bronzo recuperati e altri elementi provenienti dagli scarti del nostro mondo vanno in parallelo a quei rami di ulivo prodotti anch'essi di scarto dalla potatura per la coltivazione. Questi rami raccolti sono stati deposti in vasche di polistirolo: un materiale pratico, d’imballaggio, e nello specifico di un qualcosa che dopo l’utilizzo perde la sua funzione; infatti sono vasche per il trasporto del pesce, che al termine del loro impiego sarebbero state buttate. Qui invece le potete vedere con uno sguardo fantasticato, grazie alle resine e al ferro con cui sono state trattate; queste vasche si sono pietrificate, arrugginite: hanno subito un passaggio di stato. Anche i rami d’ulivo hanno subito una trasformazione: esplodono di tonalità bronzee e riflessi ramati. Infatti non è importante che ci sia il sole a stagliarsi sull’installazione di Ignazio Fresu, Il ramo d’oro conserva dentro di sé una luce radiosa, baluginii, rossori, che ti fanno socchiudere gli occhi e le apparenze diventano immaginazione: in un attimo sono oggetti familiari, alla nostra portata cognitiva e percettiva: sono vasi da giardino dove i tuoi nonni ti insegnano come seminare le piante aromatiche; ma al contempo, basta un riverbero e cambia tutto: ti ritrovi davanti a dei monòliti, qualcosa di lontanissimo, come perdersi nelle Grotte indiane di Ellora o vicino ad Amesbury nello Wiltshire ad ammirare con sospetto e reverenza blocchi incastonati tra loro, ipotizzandoli ad artefatti alieni.
Ma oltre a una meravigliosa apparenza estetica vibra nell’aria un messaggio: l’artista è particolarmente sensibile ed estremamente consapevole che il nostro mondo è un mondo soggetto alla precarietà, un mondo in continuo cambiamento abitato da figure sempre diverse e sempre le stesse, benché lo sforzo totalitario della società moderna consiste nel far scordare agli uomini la precarietà della loro presenza su questa Terra. Quando ti ritrovi tra le molteplici sculture di Ignazio Fresu subentra l’idea di una parola che spesso ronza nelle orecchie e nel sentito dire ma che raramente si riesce a vedere e comprendere: paesaggio. Quest’opera è un paesaggio. E credo che il paesaggio scorto da Ignazio dalla finestra e portato a creare questa installazione sia quello del deserto. Si teme il deserto poiché non si scorge un panorama; ma non bisogna temerlo, non dobbiamo dimenticare che i deserti non sono vuoto e miseria; anzi, se provate a guardare lontano, verso l’orizzonte, s’intravede sempre una piccola oasi, che è come una parola ritrovata per mezzo del silenzio, gli uomini come piante, le ere mitiche come paesaggi quotidiani. Il deserto diventa sempre più il cammino da percorrere, la via da ritrovare, il silenzio da attraversare per poter ancora parlare con gli altri. Il ramo d’oro è la celebrazione della piccola oasi, fosse solo un’illusione o un miraggio di Fata Morgana, poiché riscopre tracce di un cammino lontano, porta alla vista commoventi reperti, raccoglie e conserva un pensiero prezioso come l’acqua: la materia è sempre e solo materia, tutti gli oggetti sono da raccattare per mutarli in cibo di corpo e mente, flussi e vibrazioni per invadere questo spazio altro.
Luigi Ghirri, fotografo italiano, diceva che i luoghi sono depositi di immagini affettive che noi riutilizziamo come un alfabeto della nostra fantasia. Così come i giapponesi si riuniscono ogni anno ad Hanami per ammirare la fioritura dei ciliegi, Ignazio Fresu ha creato un luogo di contemplazione estatica dove radunarsi; è un luogo-concetto che ci proietta verso l’esterno, ci invita a vagare e portarci dietro i nostri racconti ed esperienze, è l’idea che tutto quello che facciamo o pensiamo appartenga a una trama che ci lega agli altri, e che determina i nostri gesti, i nostri atteggiamenti, quello che vogliamo e quello che non vogliamo. Per questo motivo, nell’opera, non vedrete altre figure umane che non siano la vostra e quella di chi vi sta accanto; Ignazio vuole mostrarci il massimo legame umano: tutti quelli che osservate, tutti quelli che ascoltate, tutti quelli con cui parlate sono congiunti e vanno come me, come voi, verso la morte: una meta inevitabile; insieme agli oggetti che creiamo e tutto quello che ci circonda: case, automobili, fiori, sassi, un cane, una nuvola.
Il ferro si corrode, la pietra si sbriciola, il cemento si disgrega, il legno si consuma, gli esseri viventi diventano polvere e Il ramo d’oro si fa carico dello stesso fardello. Non c’è tristezza in tutto questo, solo una dolce malinconia, poiché tutti condividiamo questo tragitto accompagnandoci.
testo di Mauro Valsecchi
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